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«Cristo abiti nei vostri cuori mediante la fede - le forze spirituali introdotte da Cristo nelle coscienze - e possiate esser radicati nell’amore - nella partecipazione alla vita, alla luce, al fuoco che Cristo ha donato all’uomo», ci ricorda san Paolo nella lettera agli Efesini (3,17). L’idea fondamentale dell’esperienza del cristianesimo vissuto è quella del Cristo interiore: quando si tratta di Cristo è di me stesso che si tratta, di Cristo che abita nei nostri cuori come forza trasfìguratrice. Questa certezza, raggiunta per una mutazione di coscienza, rende comprensibili alcune espressioni del primo cristianesimo: «Non sono io che vivo, ma Cristo che vive in me» (Gal 2,20); «Finché non dirai di te stesso che sei mio, Io non sarò pienamente ciò che Io sono; ma se mi comprendi, con questa cognizione esatta, tu sarai come Me. E per opera mia che tu divieni ciò che Io sono» (Atti di Giovanni). Cristo, la Parola incarnata, è la Persona in sé, l’Uomo interiore, il nostro vero Io. Nella prospettiva di questa possibile esperienza di fede, cerchiamo di penetrare, per quanto le insufficienti parole umane lo permettano, nel mistero della morte e della risurrezione di Cristo.
La vita è una successione ininterrotta di vita e di morte e nuovamente di vita. Il corpo fisico continua a vivere grazie al meccanismo del ricambio che elimina le parti consunte e ne assimila di più fresche. La mente, la psiche continuano a esser viventi per la capacità di rinnovarsi che hanno. La morte è la spinta che conduce ogni aggregato verso l’indifferenziazione, la stasi, l’omogeneità; la vita invece è la pulsione verso la differenziazione e l’eterogeneità. La prima favorisce la formazione di sistemi chiusi in se stessi; la seconda moltiplica gli scambi e le aperture con altri sistemi.
Il tessuto dell’esistenza è composto dalla perenne lotta tra la morte e la vita; la vita che invade i campi devastati e li rende nuovamente fecondi, la morte che si adagia sui nuovi virgulti e lentamente li estingue. Questo su tutti i piani dell’esistenza: la pianta vive e muore, nel seme riprende il suo ciclo vitale; l’animale vive e muore, nella generazione la sua vita continua; la mente vive nei pensieri, i pensieri vengono spenti dalla ripetizione, riprendono vigore in nuove formulazioni; il cuore vive nei sentimenti, a loro volta questi vengono usurati dall’abitudine, e riprendono vita quando appaiono nuove visioni, nuovi ideali. Le creazioni dell’uomo, dopo un tempo di intensità, si affievoliscono, e ciò che prima era stata l’attuazione di grandi speranze, si trasforma in rattristanti istituzioni, finché non vengano rianimate da nuovi e più intensi ideali.
Sembra che tutto il fluire dell’esistenza sia condannato all’annientamento, se non intervenissero, quando i processi vitali declinano verso l’uniformità della morte, dei nuovi fattori di intensificazione. Essi nel mondo organico sono i modelli informativi che risolvono nel senso della ripresa della vita un corso di degradazione; nel mondo della coscienza umana sono gli interventi della Rivelazione che la salvano dal decadimento.
Il punto centrale nella meditazione della morte e risurrezione di Cristo è questo: Gesù Cristo è, nella nostra certezza di fede, la Parola di Dio che presiede alla creazione di tutti gli esseri, il modello informativo sul quale tutto ciò che esiste viene a configurarsi, ed è la Parola di Dio che si è fatta carne, che dopo l’evento dell’Incarnazione non risuona più dall’esterno, ma vibra nel profondo della creazione che, per questa nuova e interiore sorgente di vita, si dischiude e decisamente s’incammina verso la rigenerazione.
Le creature, una volta nate, entrano nel regno della morte, lo superano con la moltiplicazione delle generazioni, alla morte immanente oppongono le nascite. Alcune forme religiose hanno radicato la fede nell’immortalità nella successione dei padri, dei figli, dei nipoti; altre nella considerazione del non-valore dell’esistenza storica e nel valore assoluto del ritorno delle scintille divine, coniugate con la materia, nel loro incandescente e immateriale fuoco originario.
Gesù Cristo scende dal seno del Padre nella carne e, per la sua natura umana, è come tutti noi condannato alla morte, accetta liberamente e volontariamente la morte. La sua morte è stata voluta dalle leggi costrittive di una società, e ha rivelato la crudeltà delle leggi della religione del Padre e insieme l’ingiustizia della morte. L’accettazione volontaria della morte da parte di Cristo ne rivela l’aspetto necessario ma non assoluto, e insieme sposta l’accento dalla morte alla vita. La morte da realtà terrificante acquista il significato di passaggio obbligato a una più intensa vita. Con la morte-risurrezione di Cristo, la continua morte, cui tutti siamo sottoposti, viene trasformata in un’assoluta provocazione verso la vita, e diventa libera accettazione della propria vita e della propria morte.
La verità soprarazionale delle due nature, divina e umana, di Gesù Cristo è il simbolo dell’eternità della vita congiunta alla fatalità della morte. Nella morte-risurrezione di Gesù Cri sto, la morte è il punto luminoso verso il quale tutti siamo in cammino e al quale porteremo i nostri frutti di vita e di luce.
L’evento della morte-risurrezione di Gesù Cristo si rivelerà l’inizio di un immenso movimento ascensionale di un imperativo creatore che ci impone la necessità di accettare la nostra vita e la nostra morte positivamente, l’ascesi di tutto l’essere nostro personale per integrare e sublimare ogni energia, per intensificare la vita della coscienza, che farà passare l’uomo e il suo universo nella pienezza della luce della risurrezione.