La rivoluzione di papa Francesco in due giorni, tra preghiere ed autobus
di Paolo
Fucili
Che bastian contrario che è lo Spirito Santo! Doveva proprio aspettare che andassero di moda i “rottamatori” per scegliere un Papa dal nome del santo “riparatore” per eccellenza, il poverello
d’Assisi: “Va’ e ripara la mia chiesa che cade in rovina”... Forse perché, per inciso, oggi c’è parecchio da riparare, sempre con l’aiuto dello Spirito Santo, che mai ad ogni modo abbandona la
Chiesa a se stessa lungo le tortuose vie della storia. Ma chissà perché mai, invece, fino a due giorni fa, un Pontefice si era fatto chiamare Francesco. E i “primati” oltretutto non finiscono
qui: primo Papa proveniente dall’America (e pure dall’emisfero australe, ad essere precisi), oltre che gesuita. Se davvero la Chiesa vuol essere, com’è, universale, c’è solo da rallegrarsi quando
un conclave cancella una frontiera mai varcata prima. E ancora, quando un conclave sovverte ogni pronostico, come questa volta, c’è ancor più gusto ad esultare.
I giornali (ma anche servizi tg) son prodotti notoriamente effimeri, si suole osservare aggiungendo ‘purtroppo’. Questa volta, però, tanti che sui giornali scrivono dovrebbero dire in cuor loro
“per fortuna”, considerando la misera figura rimediata nel riempirli per settimane di chiacchiere tanto particolareggiate quando inconsistenti, alla prova dei crudi e nudi fatti, ragionando (si
fa per dire) di candidature, voti, alleanze, scontri, apocalittici scenari di lotte all’ultimo sangue tra le porpore rinchiuse nella Sistina.
Un fatuo fuoco durato lo spazio di ventiquattro ore appena, tra la prima fumata nera, la seconda nera anch’essa, la terza infine bianca, col rituale annuncio
“habemus papam”: Georgium Marium Bergoglio, il cui esordio, a dire il vero, ha dato la sensazione di essere piuttosto impacciato, col gesto di saluto della mano destra appena accennato e l’altro
braccio incollato sul corpo. “Fratelli e sorelle, buonasera”, e chissà perché a parecchi è tornato in mente il timido “buonanotte” con cui a Castelgandolfo, sul fare del tramonto, si era
congedato dal mondo Benedetto XVI, altro uomo non troppo a suo agio, per carattere, con le folle. Solo col lento passare dei secondi si è sciolto un po’. “Il dovere del conclave era di dare un
vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo alla fine del mondo”, ha scherzato incoraggiato dagli applausi, per poi fare recitare a tutti un Pater ave gloria con
un non scontato pensiero al Papa emerito. L’apparenza non inganni. Se il buongiorno, rimanendo in tema di saluti, si vede dal mattino, papa Francesco (senza “primo”, finché non ce ne sarà un
“secondo”) ci regalerà molte sorprese. Col suo stile, beninteso, che non è, par di capire, quello dell’esuberante imbonitore di folle. Ma già per fare quel che ha fatto ci vogliono carisma e
personalità, sebbene “nascosti” dietro un tratto schivo e riservato: ammutolire, vale a dire, una piazza impazzita di felicità e chiedere di pregare lì sul momento, facendo silenzio, per invocare
la benedizione di Dio sul vescovo di Roma (Papa non ha osato definirsi ancora).
Una rivoluzione, nella storia seppure breve (iniziata con Wojtyla) dei saluti del neoeletto Pontefice alla piazza. Papa Bergoglio non avrà più bisogno, regnasse cento anni, di spiegare cos’è il
primato della spiritualità, o parole del genere, e perché la spiritualità per la Chiesa è come l’ossigeno per gli esseri viventi: semplicemente, lo ha insegnato con un gesto improvvisato, in quel
provvidenziale momento, dalla profonda spiritualità della sua persona.
Messaggio replicato, se ancora ce ne fosse bisogno, dedicando il primo appuntamento del primo giorno di pontificato, dopo una notte piena come lui solo sa di
emozioni e pensieri, ad una preghiera alla Madonna nella basilica patriarcale romana a lei intitolata, alle 8 del mattino di ieri, come peraltro aveva lasciato intuire la sera prima. E sulla
strada del ritorno in Vaticano, altra “sorpresa” ancora: passa per la casa del clero e salda di persona, come un qualunque cliente, il conto delle notti lì dormite prima di trasferirsi a santa
Marta per il conclave. Nella centralissima residenza a due passi da piazza Navona erano pure rimasti alcuni bagagli, segno evidente dell’intenzione di farvi ritorno una volta eletto un Papa che
non fosse lui.
Questo è Jorge Mario Bergoglio. La ricca e ammirata aneddotica del vescovo di Buenos Aires che fino alla partenza ultima per Roma girava coi mezzi pubblici, indossava una semplice talare nera,
viveva in un modesto appartamento senza domestici, si sposa benissimo con l’aneddotica già fiorente dei primissimi giorni di pontificato: la veste bianca papale indossata da sola senza la più
“solenne” mozzetta (quella mantellina che copre le spalle del Papa, rossa bordata di bianco); la semplice croce pettorale non rimpiazzata con l’altra dorata del Papa; episodi gustosi, filtrati in
vario modo, come quello dell’ascensore per scendere al cortile di san Damaso. Dato che tutti gli cedevano ovviamente il passo, il Papa si è trovato a salirci da solo, e nessuno ardiva unirsi a
lui, finché lui stesso non ha invitato tutti ad accomodarsi, stringendosi un po’. E per tornare a Santa Marta a cenare e dormire, la sera dell’elezione era pronta ovviamente per lui la berlina
con targa SCV 1 rigorosamente riservata al Papa. Ma lui ha preferito ancora accomodarsi nell’autobus dei cardinali. “Dio vi perdoni per quel che avete fatto”, pare li abbia ammoniti al termine di
una festosa cena.
Ecco perché l’ex primate argentino e vescovo di Buenos Aires dal ’98, è un uomo amato, benvoluto e rispettato in patria. Il sangue è italiano per parte di entrambi i genitori, con origini tra
Piemonte e Liguria. Le biografie meno “ufficiali” citano pure una fidanzata (immediatamente rintracciata dai reporter argentini), prima dell’ingresso in seminario e del noviziato tra i gesuiti. I
suoi hobby contemplano, da uomo di cultura qual è, la musica classica e la buona letteratura, ma non disdegna le passioni più popolari della sua terra come il tango e il calcio.
Questa “vicinanza” alla gente, tuttavia, non è solo esteriorità di abitudini e curiosità come quelle citate, che pure fanno simpatia e dunque servono anch’essi alla
causa. Bergoglio non usa mezze parole, quando in ballo ci sono i diritti degli ultimi, attorno ai grandi dibattiti della politica e dell’economia. Così ha fatto ad esempio durante la terribile
crisi economica argentina del 2001-2002, degenerata in violenze e tensioni sociali fortissime. Non mancano ombre gettate da alcune voci più per motivi di ufficio, si direbbe conoscendo da dove
quelle voci provengono e chi le raccoglie, che per vera convinzione, e riguardano molto presunte connivenze con la dittatura dei militari tra gli anni 70 e 80, già autorevolmente
contestate.
Tra le sorprese di inizio pontificato un’altra, infine, riguarda papa Bergoglio ma “indirettamente”: i positivi giudizi espressi sulla sua persona da un non piccolo numero di teologi, sacerdoti,
giornalisti ed uomini di cultura mai stati teneri col predecessore e il suo governo della Chiesa. Sarebbe bello che non si ricredessero presto come invece temiamo. Perché del plauso mondano che
la Chiesa potrebbe agevolmente procurarsi, come costoro appunto vorrebbero, se solo fosse un po’ più “arrendevole”, a papa Francesco pare non importi granché. Vedi l’omelia di ieri, 7 minuti 7
(imparassero, alcuni predicatori) in cui parlando a braccio ai cardinali nella Cappella Sistina ha parlato di cosa conferisce autenticità alla Chiesa e alla sua testimonianza nel mondo: la croce
(di cui evidentemente fanno parte, se ci è consentito esplicitarlo, contestazioni e incomprensioni). Chi confessa Cristo senza croce può essere anche Papa, ma non è un discepolo del Signore, e la
sua Chiesa è solo una ONG pietosa.
Per saperne di più, bisogna attendere di conoscere un po’ meglio e ascoltare ancora il Papa argentino. A lui, invece, sono bastati due giorni appena per conquistarci.
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