Francesco il predicatore, Papa di periferia

 

Appunti sulla settimana santa di Jorge Mario Bergoglio 

 

 

di Paolo Fucili

Brevità e chiarezza si sposano sempre bene, raccomandano da sempre i cultori di “retorica”, l’arte ovvero del parlare. E l’abbondante utilizzo di immagini, metafore, similitudini molto concrete, si potrebbe aggiungere, vivacizza anche quel particolare “sottogenere” di discorsi che son le omelie. O le catechesi, i messaggi e tutto quanto esce dalla penna o dalla bocca del Papa. Vedi le buone impressioni suscitate finora dal Bergoglio predicatore, reduce dal recente tour de force di interventi della settimana santa e di Pasqua. Che rivelano non solo, come era quasi ovvio, solida perizia nel predicare, ma anche molte indicazioni, a leggerli bene tra le righe, su quale Chiesa, quale evangelizzazione, quali sacerdoti vagheggia il Papa argentino. 

Prendiamo il giovedì santo nel carcere minorile romano di Casal del Marmo, la lavanda dei piedi che già da vescovo a Buenos Aires usava celebrare tra le disparate categorie di esclusi e sofferenti. Quel breve e semplice discorso testimonia anzitutto la capacità di ‘adattarsi’ ad un uditorio che neppure sapeva bene, hanno riferito le cronache, chi è e cosa fa un papa. Le parole, in effetti, non contano granché in casi del genere. Dalle brevi sequenze di immagini trasmesse in TV, molti hanno notato piuttosto come Bergoglio cercasse costantemente, nel parlare, di catturare con gli occhi lo sguardo di quei giovani

 

 

Anche di Gesù, verrebbe da commentare, conosciamo infiniti discorsi. Ma i Vangeli menzionano pure non pochi episodi in cui più di tante parole parlano sguardi, gesti, atteggiamenti. La domenica delle Palme commemora come noto il suo festoso ingresso in Gerusalemme, festoso perché Gesù “ha risvegliato nel cuore tante speranze soprattutto tra la gente umile, semplice, povera, dimenticata, quella che non conta agli occhi del mondo. Lui ha saputo comprendere le miserie umane, ha mostrato il volto di misericordia di Dio e si è chinato per guarire il corpo e l’anima”. 

Bisognerà riflettere a lungo sul perché il Papa venuto “dalla fine del mondo” abbia deciso che il martellante leit motiv dei suoi “esordi” fosse la misericordia, che fa il paio con l’altro della gioia: “non siate mai uomini e donne tristi: un cristiano non può mai esserlo!”. E poi speranza, “non lasciatevi rubare la speranza”, ha detto ancora nell’omelia delle palme e a Casal del Marmo, una, due, tre volte, fino all’istante prima di congedarsi. E ancora, abbozzando un primo ‘vocabolario’ di papa Bergoglio, le “periferie”, quelle “del mondo e dell’esistenza”, a cui “portare Gesù”, esortazione rivolta ai giovani in vista della GMG di Rio 2013.
 

“Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente”, è stata l’idea cardine della prima udienza generale del pontificato, mercoledì scorso. Dio non sta fermo ad aspettare, “Lui fa sempre il primo passo, Lui si muove verso di noi”, come in quelle coppie che mai sarebbero divenute tali, se uno dei due non avesse commesso l’azzardo del “dichiararsi” per primo, o quei litigi che si incancreniscono finché uno dei contendenti non offre all’altro riconciliazione e pace. Questa appunto, farsi incontro agli altri come Dio senza calcoli né misure, è la strada che conduce verso “le periferie dell’esistenza”, dove vivono “quelli che sono dimenticati, che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto”. “Che pena tante parrocchie chiuse!” ha esclamato ad un certo punto senza più trattenersi. Perché la logica del Vangelo è “uscir da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi”. “Non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo uscire, cercare con Lui la pecorella smarrita”.
 

 

 

 







 

 

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Dei pastori con l’odore delle pecore addosso, alla messa del crisma del giovedì santo, molto si è detto già, tali sono immediatezza ed efficacia dell’immagine, riportata non a caso con evidenza da tutte le cronache. Spesso capita che i mass media, per motivi di sintesi, colgano ed enfatizzino di un discorso di una qualsivoglia autorità solo una frase, finendo magari per distorcerne il vero significato. Questa volta invece non c’era pericolo, giacché quella frase infatti riassume tutta l’omelia alla perfezione. Certo, l’esegesi della ricca simbologia biblica dell’olio e dell’unzione poteva non essere proprio accattivante per i titolasti di un giornale. Ma un papa non parla solo per loro. E comunque tutti han colto l’invito ai sacerdoti a irrorare della grazia del Vangelo tutte le “periferie esistenziali” del mondo che altro non solo che le pene, le gioie, le angustie e le speranze dei semplici: “la vita quotidiana”, “i bordi della realtà”, “le situazioni limite”. Il sacerdote che “unge poco” sappia che “si perde il meglio del nostro popolo”, quello che più di ogni altra cosa fa battere il cuore di un prete. 

Francesco, del resto, già presentandosi al mondo si era definito il Papa venuto “dalla fine del mondo”. Notazione da intendersi evidentemente in senso non solo geografico, con riferimento alla lontana Argentina. Dove per fare intendere di quale Chiesa c’è bisogno oggi non si limitava a belle parole, ma dava per primo l’esempio, mescolandosi tra le pecore, come dice lui, nelle celebrazioni, nelle visite alle periferie degradate della sua città, nei tragitti coi mezzi di trasporto pubblico, nella infinite occasioni di incontro cercate con gli umili, i piccoli, i dimenticati della storia.
 

Per il pre-pontificato occorre affidarsi alla voce dei biografi e alle numerose testimonianze raccolte e diffuse dalla stampa ad “habemus papam” annunciato. I primi venti giorni di Bergoglio Papa invece son sotto gli occhi di tutti. Le sue “competenze”, termine rozzo ma chiaro, si sono allargate al mondo intero, come mostra da ultimo il solenne messaggio della mattina di Pasqua, dove non manca la “consueta” panoramica su paesi e regioni dei cinque continenti più bisognosi di pace e di preghiera. Ma l’intimo spirito che lo anima, dall’inizio alla fine, è sempre il medesimo: “Che grande gioia per me potervi dare questo annuncio: Cristo è risorto! Vorrei che giungesse in ogni casa, in ogni famiglia, specialmente dove c’è più sofferenza, negli ospedali, nelle carceri… […] Ha vinto l’amore, ha vinto la misericordia! Sempre vince la misericordia di Dio!”.
 

In fondo era già tutto anticipato in un altro testo, che circola da qualche giorno grazie ad un confratello cardinale del non ancora papa Bergoglio: la traccia dell’intervento tenuto alle congregazioni cardinalizie pre-conclave, dove è scritto a chiare lettere che “la Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e ad andare verso le periferie”, per non divenire “autoreferenziale”, parlare cioè di se stessa a se stessa, vivere per darsi gloria gli uni con gli altri. E anche quella volta l’autore seppe tirar fuori dal cilindro un’immagine che parla più di mille parole: “Nell’apocalisse Gesù dice che Lui sta sulla soglia e chiama. Evidentemente il testo si riferisce al fatto che Lui sta fuori della porta e bussa per entrare… Però a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire”.
 

Pare proprio che quelle parole, pronunciate il 9 marzo, abbiano riscosso grande attenzione tra i cardinali ormai prossimi a chiudersi in conclave. E fu così, evidentemente, che anche la ricerca del nuovo Papa si estese alle “periferie”, fino “alla fine del mondo”

 

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